venerdì 12 agosto 2011

Educare alla cittadinanza attiva e alla costituzione con il cooperative learning

di Paolo Scorzoni
Riflessione a margine
Nella scuola dell’obbligo in quest’ultimo periodo è in corso un dibattito sul come coniugare la personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento con la necessità di arrivare alla fine del percorso mettendo ogni studente nelle condizioni di superare una prova (la prova INVALSI) uguale per tutti in tutta Italia, secondo criteri condivisi a livello europeo e mondiale.
Il dibattito prevede che si vada in profondità e ci si chieda come sia possibile coniugare la globalizzazione delle competenze con l’unicità di ogni studente.
In pratica come è possibile lavorare in modo personalizzato e contemporaneamente portare ognuno a superare prove uguali per tutti?
Il discorso è ampio, oserei dire quasi filosofico, solleva visioni differenti di società, di politica, di vita, oltre che di scuola.
Noi insegnanti però ci troviamo ad andare in classe qui ed ora; non possiamo attendere che il dibattito si sviluppi e si concluda. Dobbiamo far scuola adesso cercando di far bene o, quantomeno, di far meno danni possibili.
Il percorso di apprendimento proposto in questo articolo vuole presentare una possibilità di intervento che tenga conto dei tempi in cui viviamo, delle differenze individuali e dell’omogeneità degli obiettivi finali che ci dobbiamo prefiggere.
Gli studenti trascorrono sempre meno tempo in classe, le classi sono sempre più eterogenee, gli obiettivi da raggiungere sempre più complessi e articolati.
Cosa dobbiamo e possiamo fare noi insegnanti?
Alzare bandiera bianca?
Dobbiamo cioè bocciare sempre di più, contribuendo così a creare anche in Italia quella underclass di cui parla Don De Lillo in Underworld? Oppure dobbiamo continuare a lamentarci e rimanere ancorati ai nostri vecchi e obsoleti stili di insegnamento, perpetuare un’idea di scuola lontana dalla società?
Forse possiamo provare a cambiare qualcosa nel nostro modo di lavorare, soprattutto se ci può portare a raggiungere una quantità maggiore di obiettivi in un clima di maggiore collaborazione con i nostri studenti.
È vero, non è giusto che nella scuola si investa sempre meno e ancora meno giusto è che si facciano passare dei tagli di bilancio per incentivi alla qualità; su questo fronte bisogna certo lavorare, ma non quando si è in classe.
Quando si è in classe bisogna prendersi cura dei propri studenti, aiutarli a crescere come persone, aiutarli a superare le prove della vita, partendo da quelle scolastiche.
È vero che c’è chi dice che solo se selettiva la scuola può diventare seria, io ritengo invece che serietà voglia dire valutare il raggiungimento di obiettivi su cui si è lavorato assieme per un intero ciclo di studi; voglia dire cioè lavorare facendo in modo che tutti i propri studenti raggiungano gli obiettivi necessari ad essere promossi.
È poi vero che la scuola è piena di ottimi insegnanti, ma che al suo interno, purtroppo, ce ne sono anche molti che educano al nozionismo e poi pretendono lhttp://www.blogger.com/img/blank.gifo spirito critico, educano alla competizionehttp://www.blogger.com/img/blank.gif e poi si sorprendono se tra compagni di classe non ci si aiuta, educano in modo frontale e poi si lamentano che i loro studenti non sanno prendere iniziative autonome, educano al silenzio passivo e poi si sorprendono se in Italia i giovani non sanno parlare una lingua straniera.
Io penso (ma in questo non sono solo) che in classe noi insegnanti dobbiamo creare delle comunità di studenti, docenti, collaboratori; dobbiamo far venire la voglia di apprendere, di collaborare, di domandare e che per fare questo bisogna però avere il coraggio di lavorare in modo diverso, in modo nuovo.
A questo punto però basta con i discorsi. Proviamo a dare spazio alla narrazione di un’esperienza svolta in una seconda media della provincia di Rovigo per provare a capire come possa essere possibile perseguire obiettivi differenti con un solo percorso di apprendimento.
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