lunedì 5 dicembre 2005

Realizza un racconto storico. Dal Cooperative Learning all'Apprendimento Significativo

Oggi noi insegnanti ci sentiamo un po' disorientati. Non abbiamo molti punti di riferimento nel momento in cui ci accingiamo a redigere una programmazione.
Un tempo eravamo rassicurati dal programma. Sapevamo sempre a che punto eravamo (quasi sempre indietro...).
Non è facile cambiare, non è facile passare dall'Unità Didattica, dal Modulo, all'Unità di Apprendimento, soprattutto per chi vuole realizzare un cambiamento effettivo e non solo un cambiamento a livello semantico.

L'articolo che vi propongo non è altro che la narrazione di un'esperienza svolta in una classe prima di un Istituto Professionale per il Commercio, nella primavera del 2004, ispirato dalla lettura di Insegnare ed apprendere con il portfolio, di Mario Comoglio.

Non è un esempio maturo di Unità di Apprendimento e di Valutazone Autentica, ma può diventare uno strumento utile per tutti coloro che sono intenzionati a modificare davvero il loro modo di realizzare apprendimento.

Potete richiedere l'intero articolo a info@abilidendi.it specificandone il titolo; vi verrà inviato gratuitamente.


Paolo Scorzoni
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giovedì 15 settembre 2005

Rinnovare i Consigli di Classe per aumentarne l’efficacia

di Paolo Scorzoni
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Funzione obiettivo: Sostegno alla funzione docente

L’esperienza
Nel momento in cui mi sono ritrovato a ricoprire il ruolo di “Funzione Obiettivo a sostegno della funzione docente” avevo davanti a me la possibilità di percorrere due strade: la prima era quella di organizzare (sulla base delle mie conoscenze e della mia esperienza) una serie di attività e di incontri a cui far partecipare i miei colleghi, magari chiedendo al preside di rendere la partecipazione a questi momenti obbligatoria; la seconda di ascoltare gli insegnanti, di una scuola nella quale mi trovavo per la prima volta, e di lavorare con coloro che avessero dato una adesione libera alla mia proposta.
Nel primo caso sarei stato io a definire il percorso nel secondo avrei dovuto accettare l’imprevisto, facendomi portare a spasso dai colleghi, dalle loro esigenze con il rischio però di arrivare alla fine dell’anno con un nulla di fatto.
Ho scelto, consapevole delle incognite del progetto, il secondo percorso che ha avuto inizio con una lettera, consegnata a mano a tutti i colleghi della sede di Porto Tolle, nella quale tra le altre cose dicevo: mi pare perciò più utile partire dall’ascolto del punto di vista di ciascun insegnante per arrivare a fare scelte condivise e praticabili.
Al primo incontro, venerdì 19 novembre 2004 eravamo in otto volontari più il preside e il direttore (circa un terzo degli insegnanti della sede staccata) e, lavorando su una scheda (Allegato 1 Scheda raccolta problemi) proposta dal sottoscritto, abbiamo gettato le basi dell’attività che avremmo portato avanti per tutto l’anno scolastico (Allegato 2 Schema incontri).
Abbiamo cioè identificato in modo chiaro i problemi che come insegnanti viviamo all’interno della scuola nei confronti degli studenti, dei colleghi, delle strutture, del personale Ata, dei dirigenti e dei genitori (Allegato 3 Scheda riassuntiva problemi raccolti).
Nel secondo incontro abbiamo definito le priorità; visto che non era possibile affrontare tutti i problemi contemporaneamente abbiamo deciso di concentrarci sul problema legato alla Gestione della Classe.
Questa scelta si è concretizzata nel terzo incontro, in un confronto (molto ricco) sui metodi utilizzati dai presenti nella gestione di lezione e disciplina e in uno studio molto fruttuoso di alcune tra le più innovative teorie in proposito, contenute nel testo di C. M. Charles intitolato appunto Gestire la Classe.
Nel corso del quarto incontro si è definita una mappa riassuntiva dei contenuti studiati la volta precedente (Allegato 4 Gestire la classe mappa riassuntiva) ed è nata la proposta che ha poi portato a concentrare il quinto incontro sulla creazione di una scheda guida della discussione all’interno di un Consiglio di Classe (Allegato 5).
Ogni incontro è stato organizzato secondo una strutura che ha messo ogni partecipante nella condizione di esprimere il proprio pensiero; si è infatti sempre passati attraverso momenti di lavoro individuale e in piccolo gruppo (due o tre), per giungere solo nella parte finale delle riunioni alla discussione nel grande gruppo.
Gli insegnanti che hanno partecipato hanno poi compilato, al termine di ogni tappa del percorso un questionario che doveva valutare l’utilità della riunione e la bontà della metodologia utilizzata. Su sessanta valutazioni complessive che potevano essere espresse su una scala da uno (voto minimo) a cinque (voto massimo) si sono contate cinque valutazioni uguali a tre, dieci valutazioni uguali a quattro e quarantasette valutazioni uguali a cinque, segno che i partecipanti hanno vissuto un’esperienza positiva. Si è verificato un solo caso di abbandono, dopo la prima riunione, segno che il gruppo è rimasto compatto dall’inizio alla fine.

Il prodotto
Cosa ha prodotto in concreto questo gruppo?
Una griglia molto semplice con alcune domande divise per categorie (analisi della situazione, soluzione positive, soluzioni coercitive) che hanno il solo obiettivo di orientare la discussione.
Non è tempo perso domandarsi chi sia il leader positivo all’interno della classe, o cercare di capire se, chi fa confusione, ha solo voglia di maggiore attenzione o invece vuole vendicarsi di qualcosa.
Non è nemmeno tempo perso confrontarsi sulle strategie di gestione delle situazioni difficili; siamo stati tutti concordi nell’affermare che prima di arrivare a soluzioni drastiche si debbano cercare dei sistemi per aumentare il ritmo e la fruibilità di una lezione. Siamo professionisti delle singole discipline, ma siamo anche professionisti dell’apprendimento, delle modalità cioè in cui i contenuti di queste discipline vengono trasmessi.
Il confrontarsi su questi argomenti, ne abbiamo fatto esperienza nel corso di quest’anno, è molto utile; perché allora non farlo all’interno di riunioni cui dobbiamo partecipare in ogni caso?
Le conseguenze
Quali potrebbero essere le conseguenze del lavoro di quest’anno?
La prima e più immediata è che la scheda (rivista e corretta dal Collegio) potrebbe diventare a tutti gli effetti la scheda guida delle discussioni all’interno dei Consigli, nel momento in cui si parla della situazione della classe e dei singoli. Si badi bene, la scheda non dovrebbe essere compilata prima del consiglio, ma durante; basterebbe riservare cinque minuti in cui ognuno, individualmente, si concentra sulla classe in esame e la analizza sulla base di questa scheda proposta. Lavorare in questo modo non prevederebbe nessuna incombenza aggiuntiva per gli insegnanti i quali si troverebbero solamente a gestire in modo diverso tempi e modalità del Consiglio.
La discussione diventerebbe così più efficace e veloce. Essere più efficaci vorrebbe dire essere più attenti alle esigenze degli studenti e diminuire quindi il numero di ragazzi che si ritirano in corso d’anno.

Conclusioni
Il lavoro è stato nuovo e stimolante; siamo andati dove il gruppo ci ha portato.
Il prodotto è la dimostrazione che quando gli insegnanti si mettono a lavorare assieme, con metodo, producono sempre qualcosa di buono, intelligente ed utilizzabile.
Un’altra caratteristica dell’esperienza è legata al fatto che il prodotto finale è stato generato dal contributo di tutti; infatti nessuno dei membri del gruppo di lavoro sarebbe in grado di dire dove finisce il suo contributo e dove comincia quello del collega.
In conclusione vorrei sottolineare un altro aspetto, che ritego non marginale, legato ai tempi di svolgimento delle attività: abbiamo sempre lavoarato per un’ora e mezza ad incontro, e abbiamo sempre rispettato i tempi; anche il rispetto dei tempi è un fattore importante che mette i partecipanti (che solitamente hanno molti impegna anche a casa) in una condizione di tranquillità che aumenta la motivazione a partecipare.



Di seguito inserisco in rigoroso ordine alfabetico il nome di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del progetto anche di quei precari che sono rimasti nella nostra scuola solo nel primo quadrimestre.
Dario
Biolcati Rinaldi

Vincenzo Boscolo
Paolo Cellini
Novella Cezza
Raffaele Dainese
Simone Dentello
Federico Donà
Antonio Pucci
Alessandra Tietto
Leonardo Zocchi
Paolo Scorzoni

Bibliografia
Charles, C.M., Gestire la classe, a cura di M. Comoglio, LAS, Roma, 2002

Per visualizzare gli allegati

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martedì 5 luglio 2005

Progettare apprendimento significativo

di Daniele Pavarin e Paolo Scorzoni
intervento di Paolo Scorzoni al convegno
Qualità visibili e invisibili: l'e-learning a scuola
Porto S. Giorgio 13 giugno 2005

Perché cambiare
Alcuni giovani vivono un rapporto conflittuale con la scuola. […] I ragazzi hanno voglia di libertà, non hanno voglia di rimanere chiusi tutto il giorno all’interno di un edificio dove vengono trattati argomenti spesso inutili e poco coinvolgenti. (Marco IV IPSIA).
Ho scelto questa frase tratta (non da un articolo del filosofo Galimberti) ma da un tema di uno tra i miei studenti più svegli, perché esprime in modo chiaro e senza perifrasi un disagio diffuso all’interno della scuola italiana, disagio che si riflette poi anche sugli insegnanti che si sentono a loro volta poco motivati a veicolare contenuti che vengono appresi solo grazie allo spauracchio del voto.
Disagio che nella scuola superiore si traduce in apatia e nella scuola primaria si traduce in comportamento scorretto e in situazioni difficilmente gestibili.
Chi di noi può infatti dire di non avere studenti che la pensano, anche solo a livello inconscio, come Marco, il mio studente di quarta superiore? La scuola riesce a soddisfare il loro bisogno di libertà? Riusciamo noi insegnanti a far percepire loro che le cose che si fanno sono utili e coinvolgenti? Riusciamo a farci riconoscere come punti di riferimento autorevoli e non come leader autoritari?
Di fronte alle manifestazioni di disagio da parte degli studenti noi insegnanti potremmo reagire dicendo che non sono mai contenti e che non capiscono l’importanza dell’andare a scuola o ancora che non è compito nostro. Potremmo cioè continuare a scaricare le responsabilità su ragazzi, genitori, società.
Potremmo anche (e qui avremmo molte frecce al nostro arco) dire che gli studenti hanno ragione, ma che noi insegnanti siamo trattati come loro: mal pagati, mal equipaggiati (pochi computer, connessioni ad internet improbabili…) mal formati.
Potremmo però anche cominciare ad interrogarci, cominciare a porci le domande che voi sicuramente vi fate già visto che vi trovate qui a trascorrere un lunedì di giugno in modo inusuale. Domande del tipo: come posso fare per coinvolgere maggiormente i miei studenti? Cosa posso fare per fare in modo che le cose che imparano a scuola possano essere loro utili nella vita? Cosa posso fare per contribuire alla crescita di un individuo che dovrà diventare cittadino di uno stato democratico? Come mi devo comportare per colmare il divario esistente tra ciò che passa per comprensione e la comprensione vera? (Gardner 2001)
Se ci interroghiamo vuol dire che siamo alla ricerca di nuovi strumenti che ci aiutino ad essere il più efficaci possibile nel nostro lavoro; a questo punto l’Apprendimento Significativo può diventare una risposta importante ad una simile esigenza.
Si potrebbe ancora una volta scegliere di far solo finta di cambiare, riadattando le nostre Unità Didattiche e chiamando le tradizionali verifiche: materiale per il portfolio (come fanno anche molti libri di testo), ma questo non mi pare sia l’obiettivo di chi ha voglia di ottenere anche qualche soddisfazione dal proprio lavoro.
La scelta dell’Apprendimento Significativo è però una scelta che prevede uno sforzo importante da parte degli insegnanti, quindi non può che essere graduale e motivata.
segue: Progettare apprendimento significativo

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giovedì 17 marzo 2005

Formare e informare in modo interattivo


di Paolo Scorzoni
www.abilidendi.it
Oggi sempre più persone si trovano a gestire momenti di incontro e di riunione assembleare; sono formatori, insegnanti, dirigenti scolastici, sindacalisti, dirigenti di azienda.
Sono persone con caratteristiche e profili assai diversi che si scontrano con problemi simili: coinvolgere gli interlocutori, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche da quello dei metodi.
Esse vorrebbero gestire incontri e riunioni in modo interattivo, ma alla fine si adeguano ad adottare uno stile comunicativo unidirezionale e direttivo, perché pensano che quando il numero degli interlocutori supera le dieci unità sia impossibile adottare modalità comunicative coinvolgenti e motivanti per tutti.
In questo modo i buoni propositi non si trasformano in pratica comunicativa. I contenuti che si vogliono veicolare sono magari innovativi e accattivanti, ma i metodi di trasmissione sono fermi alla solita modalità frontale.
Il metodo con cui si fa formazione e con cui si conducono gli incontri però non è neutro. Attraverso il metodo, infatti, passano messaggi e informazioni importanti. Se io dico che l’opinione di tutti è importante e alla fine parlo solo io, il messaggio che alla fine verrà percepito dai miei interlocutori sarà quello espresso in modo non verbale.
Con il metodo frontale; il formatore, il relatore il coordinatore parla e i destinatari ascoltano e prendono appunti. Chi utilizza questa modalità pensa, a volte, di essere innovativo nel momento in cui fa uso di nuove tecnologie informatiche; esse consentono di rendere gli incontri più avvincenti e meno pesanti, ma alla fine protagonisti di questi incontri rimangono sempre i relatori, i loro messaggi e non i loro interlocutori.
Esistono per fortuna strumenti comunicativi che consentono di realizzare il cambiamento di prospettiva che in molti auspicano.
Il metodo oggi ritenuto più efficace nella gestione di incontri, corsi di formazione, riunioni assembleari è quello che mette invece i destinatari nelle condizioni di partecipare attivamente al processo di apprendimento e/o di produzione di idee.
È un metodo esperienziale efficace perché aumenta la motivazione all’apprendimento e alla partecipazione di chi è destinatario di un messaggio.
È un metodo adatto sia a situazioni in cui l’emittente vuole far apprendere in modo significativo e autentico nuovi contenuti, sia a situazioni in cui chi coordina un incontro ha l’obiettivo di coinvolgere, ascoltare, far nascere nuove idee, abbozzare soluzioni di problemi.
È perciò un metodo che potrebbe essere utilizzato con successo da insegnanti, formatori, animatori, ma anche da dirigenti scolastici (gestione di collegi dei docenti), sindacalisti (gestione di riunioni sindacali), dirigenti di azienda (gestione di riunioni con soci e/o con il personale).
Il metodo esperienziale consente di apprendere coinvolgendo e di coinvolgere aumentando l’apprendimento.
Esso è un metodo la cui efficacia è dimostrata da moltissime esperienze concrete, ma ancora poco conosciuto e poco utilizzato.
La modalità esperienziale di gestione di incontri e riunioni si ispira ad una rilettura leggermente modificata dei principi fondamentali del Cooperative Learning, che è una modalità di gestione di grandi gruppi (da 9 a 100 persone) attraverso il lavoro in team (piccoli gruppi, da 2 a 5 persone).
Utilizzando questi principi fondamentali è possibile strutturare incontri, riunioni assemblee e percorsi formativi in modo da renderli coinvolgenti ed efficaci.

Proviamo ora, in modo schematico, a rendere esplicite le differenze tra un incontro organizzato secondo il metodo tradizionale e un incontro organizzato tenendo presenti le indicazioni del Cooperative Learning.
Percorso tradizionale
(al centro è il messaggio)

1. Il formatore introduce l’argomento che ha intenzione di trattare.
2. Il formatore, aiutandosi con una serie di slide, lucidi, diapositive o filmati espone i concetti fondamentali arricchendoli con esempi legati al vissuto dei destinatari.
3. Il formatore conclude e rilancia.
4. Dibattito finale nel corso del quale intervengono quasi sempre le stesse persone.

Percorso esperienziale
(al centro è il destinatario)
1. Il formatore organizza una attività (individuale, a coppie e in piccoli gruppi) per stimolare la conoscenza reciproca dei corsisti e per conoscere le aspettative dei partecipanti rispetto al percorso da lui ideato.
2. Il formatore identifica i materiali, tra quelli da lui preparati in precedenza, da somministrare ai suoi destinatari.
3. Il formatore divide i suoi destinatari in piccoli gruppi di studio e di approfondimento. (Il lavoro è sempre prima individuale e poi di gruppo).
4. Il formatore raccoglie le impressioni dei destinatari e dà il via ad un breve confronto all’interno del grande gruppo.
5. Il formatore rinforza i concetti non ancora del tutto chiari.
6. Il formatore conclude e rilancia
Nel primo caso il formatore, costantemente al centro dell’attenzione, deve essere un esperto della propria materia, del proprio argomento e deve essere abile nell’esporlo secondo un percorso narrativo avvincente. Nel secondo caso il formatore diventa un progettista di attività e un ricercatore di materiali da sottoporre ai suoi interlocutori. Durante l’incontro suo compito diventa anche quello di osservare e raccogliere appunti per modificare in itinere il canovaccio preparato in precedenza.
Il destinatario nel primo caso è passivo e deve trovare (se vuole) sempre nuove strategie per tenere alta la propria attenzione (prendere appunti, fare domande…). Nel secondo caso è attivo ascolta, legge rielabora, espone) perché inserito in una vera e propria esperienza di condivisione di idee e conoscenze.
Paolo Scorzoni
Lindbergh formazione & consulenza
www.abilidendi.it

Bibliografia di riferimento

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lunedì 17 gennaio 2005

Cooperative learning (apprendimento cooperativo) e nuove tecnologie informatiche (blog)

Fabrizio Pivari di http://www.pivari.com/ e Paolo Scorzoni di http://www.abilidendi.it/ hanno scritto un interessante articolo intolato Cooperative Learning e nuove tecnologie informatiche (blog).
Al momento l'articolo è disponibile nel sito Scuola ER.
Se fossi interessato ad approfondimenti o ad articoli o corsi su tematiche similari non esitare a contattarci.


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