di Paolo Scorzoni
A poco più di sessant’anni dall’approvazione della Costituzione democratica della nostra Repubblica nessuno si sognerebbe di argomentare contro l’idea di democrazia. Oggi anche le decisioni meno democratiche vengono prese in nome della democrazia. Per difenderla si fanno guerre si restringono le libertà personali si prendono decisioni senza provare a capire le ragioni di chi la pensa in modo diverso.
Anche se potrebbe sembrare anacronistico ha senso, oggi più che mai, rifarsi la domanda di fondo e chiedersi cosa sia la democrazia e come debba essere organizzata una società democratica.
Siamo in una società in evoluzione veloce, in un’età che C. Handy chiamava, già alla fine degli anni ’80, age of unreason; cosa significa democrazia in questa società e in questa età?
Per rispondere a questa domanda può non essere fuori luogo interpellare alcuni grandi della storia del pensiero, che dalla loro prospettiva possono aiutarci ad illuminare il nostro cammino.
Erodoto ad esempio dicendo che “[…] il Governo del popolo è certamente il migliore, come quello in cui tutti sono uguali ma [che] anche esso tende a degenerare e a diventare sfrenata demagogia” , ci mette in guardia facendoci capire che il modello democratico non è eterno ed è soggetto a degenerazioni. Ci dice che la demagogia è uno dei nemici più subdoli della democrazia perché non si presenta come una alternativa ad essa. Chi fa della propria azione una azione demagogica tende a riempirsi la bocca di parole come difesa della democrazia e difesa dei diritti del cittadino. Pertanto per Erodoto la democrazia è un buon sistema di governo, addirittura il migliore, deve però essere preservato costantemente dalle sue possibili degenerazioni. Il cittadino perciò deve essere un cittadino che vigila che controlla chi lo governa, deve essere un cittadino che ha gli strumenti per vigilare, conoscenze e spirito critico. Parafrasando Kant potremmo dire che lo spirito critico senza le conoscenze è vuoto e che le conoscenze senza lo spirito critico sono cieche; sono necessari l’uno e le altre per giudicare l’operato di un politico al termine del suo mandato, e per decidere se rinnovargli o meno l’incarico.
Un atteggiamento più critico nei confronti della democrazia è quello assunto da Platone il quale la descrive come quella forma di governo in cui “ad ogni cittadino è lecito di fare tutto ciò che vuole” . Platone descrive la democrazia come il luogo della libertà senza limiti e quindi senza tutele per i cittadini normali e per i più deboli. Platone ci mette in guardia perciò dalla libertà totale, la libertà individualistica in cui ognuno pensa di fare ciò che vuole senza occuparsi anche del bene e degli interessi della comunità in cui vive.
Aristotele invece ci aiuta a capire cosa una democrazia dovrebbe essere. Infatti egli dice che c’è democrazia “quando poi la massa regge lo stato badando all’interesse comune” . Fondamentale nelle parole di Aristotele diventa il concetto di interesse comune. Cercare di governare nell’interesse di tutti è molto difficile soprattutto quando il potere è gestito da tutti i cittadini.
Ma quando la massa può reggere lo stato? Quando l’insieme delle persone che formano uno stato sa prendere decisioni autonomamente e con gli altri ed in assoluta libertà.
Questo atteggiamento è fondamentale per la democrazia come sembra suggerire anche Rousseau quando afferma che “non vi è governo tanto soggetto alle guerre civili e alle agitazioni intestine quanto quello democratico o popolare, perché non vi è nessuno che tenda così fortemente e continuamente a cambiare forma, né che richieda maggior vigilanza e coraggio per esser mantenuto nella sua forma. È soprattutto in questa costituzione che il cittadino deve armarsi di forza e costanza, e dire ogni giorno della sua vita nel profondo del suo cuore ciò che diceva un virtuoso Palatino alla dieta di Polonia: «Malo periculosam libertatem quam quietum servitium»” .
Se i cittadini non sostengono la democrazia attraverso la vigilanza, il coraggio, la responsabilità, la conoscenza, rischiano di dare ragione a quelle “filosofie sociali […] che predicano l’impotenza della ragione nella vita sociale e che, in nome di questo anti razionalismo, favoriscono la propagazione dell’atteggiamento: «o segui il leader, il grande statista, diventa un leader tu stesso»; atteggiamento che per molta gente può significare la passiva sottomissione alle forze, personali o anonime, che reggono la società” . Uno stato democratico ha bisogno di cittadini leader o piuttosto di persone che sappiano operare per il bene comune, che sappiano lavorare in modo tale che tutti possano essere in grado di pensare e di prendere decisioni?
Un esempio di persona che ha speso la vita a far crescere il senso critico dei suoi concittadini è sicuramente quello di Socrate con “il suo intellettualismo, cioè la sua teoria egualitaria della ragione umana come strumento universale di comunicazione; la sua insistenza sull’onestà intellettuale e sull’autocritica; la sua teoria egualitaria della giustizia e la sua dottrina che è meglio essere vittime che autori dell’ingiustizia” . Se Socrate, che è maestro dell’arte del domandare, può essere il modello del cittadino democratico, non lo possono essere le persone che si impongono e tanto meno i governi che si impongo con la forza. “Generalmente con «forza di un governo» si intende che il governo può imporre quel che crede – in ogni circostanza. A mio avviso, invece, - afferma Popper - la cosa fondamentale per un governo è la consapevolezza di avere certo un programma, ma che questo programma tuttavia può portare, in certe circostanze, a conseguenze non volute e che, su questa base, è molto importante porsi in maniera seriamente critica di fronte ai propri provvedimenti e chiedersi di continuo: qual è la conseguenza di ciò che abbiamo fatto? Non abbiamo fatto qualcosa che produce danni e che porta a conseguenze che non desideriamo affatto? […] Un buon sistema – prosegue Popper - dovrebbe essere continuamente in guardia contro gli errori in esso contenuti, giacché noi sappiamo troppo poco e per questo commettiamo sempre errori. Da una parte dovremmo lavorare con una certa qual audacia, ma dall’altra anche essere consapevoli che questa audacia comporta dei rischi. Di conseguenza dovremmo il più rapidamente possibile scoprire errori, al fine di imparare da questi errori e di correggerli, piuttosto che coprire tali errori o di spiegarli come non errori – o addirittura di spiegarli quali dei successi, come troppo facilmente capita nei governi forti” .
Dopo questo excursus diventa forse più facile definire le caratteristiche generali di una società democratica.
Nella società democratica i problemi non sono motivo di scontro, ma di confronto solo se vengono visti come “dilemmi sociali [che] possono essere risolti solo attraverso scelte sociali fondate sulla partecipazione dei cittadini, con discussioni e dibattiti aperti. In gioco ci sono sia gli obiettivi ultimi che gli strumenti pratici e, ancora più rilevanti, le procedure attraverso cui questi obiettivi e strumenti vanno valutati. Una indicazione unilaterale, anche se viene dai migliori esperti, non è in grado di offrire da sola alcuna soluzione” .
La società democratica è una società complessa in cui gli obiettivi comuni e condivisi, prodotto di un confronto approfondito e civile tra tutte le sue componenti, possono essere raggiunti solo con il contributo di tutti. Società democratica è quella società che riesce poi anche a ridistribuire le ricompense in modo equo, tenendo conto del contributo di tutti e del bisogno di ciascuno.
Quale dovrebbe essere il ruolo della scuola in un contesto come quello descritto?
Paolo Scorzoni
www.abilidendi.it
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